Serbia

Arriviamo a Belgrado accolti splendidamente: la ragazza che ci ospiterà 3 notti è nella sua verandina con Uroc, un suo amico che è poi tornato anche le sere successive. Ci hanno preparato un’ottima cena tipica composta da una portata a base di carne e verdure, accompagnata da formaggi di vario genere, insalata e pancetta affumicata dallo stesso Uroc. Dopo cena ci hanno accompagnato in centro, in un localetto sotto il ponte principale dove beviamo Rakja e birra locale.
Il giorno seguente è dedicato al giro della cittá: parco, chiese, lungo danubio, ecc..

Riguardo le chiese c’è da osservare due particolari che manifestano la relativa vitalità dell’ortodossia, quantomeno come scrigno di valori identitari collettivi: la chiesa principale che abbiamo visto è in costruzione, ed è frequentata da giovani raccolti in sentite e silenziose preghiere. Alla faccia del postodernismo, del crollo dei valori e della morte di Dio, l’etá media di chi frequenta i luoghi di culto è qui enormemente più bassa che nella cattolicissima italia. Ovviamente si guarda qui ad un aspetto parziale, che non vuole certamente dipingere la Serbia come un paese integralista, ma le minoranze praticanti ortodosse, come quelle nazionaliste, sembrano esprimere il retroterra serbo fondato su una concezione forte dell’identità, strutturata e coerente, convinta e, si potrebbe dire, guerriera. -nel parco principale,che chiamano fortezza, ci sono una fornitissima esposizione di armi ed il museo militare-

Sono stati conservati due palazzi semi distrutti dai bombardamenti dell’ONU del 1999. Riguardo ciò la cosa che impressiona è che la conseguenza di questa scelta di mantenere la prova concreta del trauma che la città ha subito è innalzare in questo modo un monumento alla distruzione. Siamo al contrario abituati a vedere monumenti commemorativi, in nome delle vittime, che aspirano a provocare commozione per la sofferenza in modo aggregante e collettivo, con spirito di fratellanza. Qui invece, davanti a palazzoni semidistrutti nel cuore di una città viva, tra altre costruzioni in perfetto stato, non resta che una ferita aperta, che acquista concretezza e soliditá. In tal modo i sentimenti che risvegliano, le riflessioni che suscitano, sono completamente diversi dai momumenti classici: richiamano innanzitutto la potenza carnale e “biologica” delle armi, dei bombardamenti, e si collegano così a ciò che di altrettanto potente provocano nell’animo di un popolo. Si tratta pur sempre un una problematica da valutare con la ragione (cause e conseguenza delle bombe e così via), ma un monumento del genere non taglia fuori le emozioni travolgenti, non riduce il ricordo ad una pietá tanto caritatevole quanto passiva, ma spinge a prendere posizione, o perlomeno a ricercare maggiori veritá sulla pagina più cruenta dell’europa degli ultimi 20 anni.
Ci sarebbe, infine, da ragionare sull’efficacia e sull’utilitá per la collettività di mantenere vive emozioni tanto forti, concretizzate in modo così esplicito, in una zona a rischio estremista. Se sia in definitiva giusto porgere il fianco a chi strumentalizza certe ferite per imboccare la strada che ne ha, in fondo, di altrettanto dolorose.

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La sera torniamo a casa e ricambiamo l’ospitalità preparando la pasta fresca: tagliolini funghi e salsiccia (slovena), annaffiati con birra locale in gran quantità.
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Torniamo quindi in centro per fare serata in uno dei locali che ci hanno suggerito; ce ne sono tantissimi, uno accanto all’altro e in pieno centro: dalla tecno alla commerciale, dalla turbo folk ai localetti jazz, l’offerta per la nottata è veramente per tutti i gusti. Finiamo quindi in un locale sul danubio molto costoso per Belgrado, nel quale fino all’una la musica è come in tante altre discoteche in europa, poi sul palco arrivano due cantanti (un uomo e una donna, più il tastierista) che cantano canzoni serbe da discoteca fino alle 4 di mattina.
-In quante altre discoteche centrali in Italia succede qualcosa di simile? Con tutta la sala che conosce le canzoni in lingua e le canticchia ballando? Mille facce dell’identitá, dell'”essere serbi”-
Qui Teo sfodera il suo inglese, usando la Ribba come spalla, per impezzare praticamente tutte le persone del locale. Sarà che in punta di piedi gli arriva all’ascella o che è pieno di enormi serbi rasati, ma esce dal locale più brillo che placato.
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I greci antichi si caratterizzavano per la folta barba, che era simbolo di saggezza, mentre furono i romani a preferire il viso rasato, a parte alcuni imperatori del tardo impero come Marco Aurelio che, appunto, si rifacevano alla cultura ellenica. Da sempre il modo in cui un popolo tende ad acconciarsi esprime molto delle sue radici e dei suoi modelli. In Serbia non abbiamo visto praticamente nessuno con la barba; di uomini coi capelli lunghi, o con i ricci, non se ne parla neanche. Il riferimento culturale sedimentato e “inconscio” degli slavi del nord è infatti alla Roma guerriera, al suo culto del corpo sano, attivo e agente.

Il giorno seguente andiamo in gita a Novi Sad, a meno di un’ora da Belgrado. La cittá ha una bella fortezza e un centro piacevolissimo da girare, ricco di invitanti caffè e pub.
Tra qui e Belgrado le donne sono fantastiche, strutturalmente slanciate e altissime, sempre curate al meglio. La Ribba si sente circondato, altri due giorni e diventa strabico e col torcicollo cronico.
Tornati a Belgrado mangiamo e rientriamo a casa dove, come al solito, ci aspettano Alexandra e Uroc con un sacco di birra e pancetta affumicata. C’è però una novitá: Mia, un loro amico intento a smontare e ricomporre sigarette. Teo e la Ribba, in vista della levataccia del giorno seguente, vanno a riposare. Camera, come previsto, si stordisce finchè c’è amore.

Ci sono infine due osservazioni da fare riguardo la natura identitaria serba, emerse dalle chiacchiere con Uroc, Mia, Alexandra e Vlad (lo sportivo fratello di Alexandra).
In primo luogo c’è la fondata convinzione che il popolo serbo sia caratterizzato da un’enorme solidarietá all’interno di una certa cerchia, che è il risvolto di un disinteresse per le sorti di chi è fuori dalla cerchia stessa. In questo senso sono paragonabili ai nostri abitanti dell’entroterra, dagli appennini alla sardegna: ospitalitá fraterna, nepotismo come dovere, fratellanza di sangue, ma una sorta di chiusura verso l’esterno, nel senso di un’orgogliosa rimarcatura della propria indipendente unicitá. Si tratta di una struttura coerente di valori ed archetipi estremamente affascinante nella sua fiera autonomia, che si lega sia alla morfologia territoriale di stampo pastorale, che alle radici culturali sempre intrecciate tra spirito orientale e modelli occidentali.
In secondo luogo hanno espresso la comune sensazione dei loro coetanei (hanno circa trent’anni ma sembravano parlare a nome di molti di più) di sentirsi periferici. Periferici sia in senso ampio, rispetto alle opportunità che offre l’Europa occidentale (“se abbiamo sentito la crisi? Noi siamo sempre in crisi, e lo saremo per sempre”-risata amara), sia in senso specifico, come abitanti della periferia di Belgrado. E i riferimenti sono stati a tutta la cultura delle grandi periferie urbane d’Europa, ed in particolare ai film di Kassoviz, che esprimono la stessa situazione di avvilente stallo, di isolamento forzato, che si ritrova nei sobborghi di Parigi e di Londra, di Mosca e, appunto, di Belgrado.

Consigli per diventare serbo:

Rasati. Anche le sopracciglia sono considerate pericolosamente simili ai peli superflui.
Se sei uomo, comprati un’audi o una yugo, non si accettano vie di mezzo.
Se sei donna, cresci. Metti i tacchi o trova trucchi di altro genere, e in ogni caso rassegnati: le altre ti mangeranno comunque in testa.
Se sei uomo fuma sigarette all’asfalto, le light sono da donnette. O da sloveni.
Se sei donna truccati anche per dormire, la pelle naturale è da poveri. O da bulgare.
Sii orgoglioso di essere serbo.

Ljubljana – Belgrado. Seconda tappa.

Galleggiando dalla Slovenia alla Serbia passando per la croazia il paesaggio muta verso il livello del mare: alla geografia alpina slovena fanno seguito quella “appenninica” del nord della Croazia, tra pecore e pecorai, fino alla “bassa” serba.

Lungo l’ardua via per Belgrado,
Due tappe interrompono il cammino
per vedere monumenti comunisti
posti in impensati luoghi.
Tre dottori di gran classe e assai distinti
Ivi sostano al fine di nutrirsi
Già sommersi dal bucolico paesaggio
Tra le bestie che di lana sono ricche.

Piano piano questi conti
Giungeran fino a Costanza
Nel frattempo in mezzo ai monti
Regna solo l’ignoranza

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