Bucarest

Bucarest è la cittá più caotica dei balcani: l’urbanizzazione incontrollata ha reso questo gigante di cemento una distesa di palazzoni attraversati da enormi viali congestionati. Lasciamo quindi l’auto dalla nostra ospite (Alla, sulla quale glisso provvidenzialmente), e usiamo la metro per gli spostamenti quotidiani.
Girando per la città, nonostante i rumeni sembrino meno legati alla religiosità rispetto ai serbi o ai bulgari, per i quali la Chiesa fu centrale nella formazione dello stato e dell’identità nazionale, troviamo diverse bellissime chiese ortodosse.
Le chiese ortodosse sono un’altra cosa rispetto a quelle cattoliche, sia per la forma architettonica che per i contenuti delle chiese stesse. Mentre da noi si tratta per certi versi di “arredare” la casa del Signore con putti dorati, statue e decorazioni varie (ed il barocco è la vetta di questa tendenza), il luogo di culto ortodosso sembra ricoprire maggiormente un ruolo pedagogico. Queste chiese sono infatti interamente ricoperte da dipinti, organizzati secondo uno schema più o meno fisso: un ciclo inferiore, anche se rialzato rispetto al punto di vista degli avventori, che giunge fino a circa l’altezza dei portoni, ed un ciclo superiore che ricopre la parte alta della chiesa fino alle cupole. Il ciclo inferiore va, man mano che si avanza, dalle rappresentazioni degli antichi sovrani fino ai santi, sostanziando sulle pareti il mondo terreno, il riverbero politico coercitivo dell’ordine religioso situato nel ciclo superiore. In quest’ultimo infatti viene in genere rappresentato, prima del portone d’ingresso, un passo dell’antico testamento (soprattutto Adamo ed Eva), mentre l’interno è interamente dedicato alla vita di Cristo, alla madonna, agli apostoli ed a Dio stesso. Biblici libri illustrati, le chiese ortodosse sono tutte icone e cornici. In contesti di analfabetismo diffuso questa organizzazione dello spazio sacro ribadisce il ruolo dirigenziale dell’ordine ecclesiastico sia in quanto fonte della sovranità del potere terreno, che come custode del Verbo (monasteri e chiese erano gli unici luoghi d’istruzione e studio).
Il fondo della chiesa è occupato interamente dall’iconostasi in legno, che chiarifica ancor più schematicamente l’ordine gerarchico del cosmo ortodosso, e davanti ad esso stanno due o tre icone. Queste non sono semplici rappresentazioni, ma vere e proprie mediazioni concrete verso il mondo ultraterreno: non sono figure della santità (come per i nostri santini) ma sono la santità stessa, la sacralità resa visibile. Letta in questa chiave, con l’ennesima sottolineatura della centralità dell’immagine elevata ad icona, divenuta concreta, l’intera organizzazione della chiesa assume ancora maggior potenza.
Così, da secoli, Uomini e donne si avvicendano davanti alle rappresentazioni sacre per pregare in silenzio e baciarle (gli affreschi sono consumati in corrispondenza dei piedi di gesù e della madonna).
Va infine detto che le icone sono molto simili fra loro, perché rispettano rigidi schemi figurativi: hanno subito molti meno cambiamenti stilistici rispetto alle nostre immagini sacre: come sempre, sacralità e conservatorismo si sovrappongono, rivelando la loro natura comune. Più qualcosa è sacro o sacralizzato più è conservato e conservatore, se non perfino reazionario.

Andiamo a pranzo in un ottimo ed economico ristorante del centro, arredato in stile liberty e che serve piatti tipici (appena torniamo a Bologna mega cena balcanica); in Romania mangiamo bene e godiamo della vivacissima vita notturna.
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La seconda serata giriamo diversi locali tra drink a 1,30€, nebbie di fumo, narghilè e un caldo terribile, fino alle 5 di mattina quando la ribba va a scroccare una sigaretta:
-“Sorry, do you have a cigarette?”
-“Are you jewes? Because you are black.” Risate generali, la Ribba controlla di non essersi scurito la notte, ma sembra tutto come sempre e quindi, confuso, si gira verso Camera e lo trova con una tipa spuntata dal nulla che lo abbraccia.
-“Do you want to come out with me and drink something?” Sbiascica lei.
-“Ma la conosci?”
-“No!”
-“We can go out to drink, i have the money. Rgtfbfnd…”
Ok, lasciamo perdere, non si reggeva in piedi da quanta roba aveva assunto (chissà poi cosa).
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L’ultima sera andiamo invece al kultur haus, un locale a tre piani: uno sotterraneo con musica rock e murales, uno superiore con pista da ballo e musica da discoteca, e uno in mezzo, relativamente silenzioso, con divani e tavolini. Una figata.
l’unica osservazione è qui riguardo alla diffusione in Italia di luoghi del genere: ingresso gratuito, ampi spazi, offerta differenziata. Si tratta di puntare sull’avere sempre il locale pieno e guadagnare di conseguenza piuttosto che sul tassare l’ingresso con ridicole tessere associative anche per una sola sera, si tratta di credere nella dimensione e nella qualità dell’offerta piuttosto che rifugiarsi negli incassi fissi degli ingressi, si tratta, in sostanza, di andare nella direzione di spazi più Aperti, e quindi più vitali.

Infine, fulcro della città, abbiamo visitato il palazzo del Parlamento, fatto edificare per volontà di Causescu a partire dal 1984. Le dimensioni di questo gigante sono indescrivibili, basti dire che per superficie è la seconda costruzione del mondo e che noi, in due ore di visita, ne abbiamo visto circa il 5%.
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Si tratta dell’ultimo, recentissimo, monumento alla sovranità assoluta. La sua sola esistenza concretizza il senso di onnipotenza terrena e, accostata ai primi scenari della romania, tra gitani sui carretti e cani randagi, trasmette un terrificante senso di vertigine. Anche ora, come da sempre, il governo del mondo è gestito da un’elite ristretta (#Mosca, Pareto), e l’uguaglianza non è cosa di questo mondo, ma è molto diverso sapere qualcosa e vederlo in marmo e cristallo elevarsi davanti a sé.
Inoltre questo esagerato palazzone esprime peculiarità che ricalcano alcuni tratti del potere del conformismo di massa tipicamente occidentale: si tratta sia della visione egocentrica che dei suoi riverberi paranoici. Il “re sole” Ceausescu era infatti, oltre che un evidente megalomane, ossessionato dall’idea di essere assassinato con il gas. Per questo l’intero palazzo è dotato di un impianto di areazione complicatissimo, che prende l’aria dall’esterno e la fa continuamente circolare tra le stanze.
C’è anche una sala, detta “dell’eco”, nella quale Causescu avrebbe dovuto tenere i discorsi, che produce un’eco molto amplificata, in modo che gli applausi producano più rumore. Riguardo ciò la cosa che inquieta è che nessuno degli alti gerarchi comunisti sia riuscito a fermare l’onnipotenza di un egocentrico chiaramente troppo preso di sé per dirigere un paese. Perché non esiste mai un uomo davvero solo al comando: gli alti sottoposti sono sempre come in una stanza dell’eco, in cui gli applausi si sentono più forti, ma lo stesso vale per i fischi.

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