Bulgaria

Ci fermiamo a Veliko Tarnovo: le rovine della città medievale sono estesissime, le mura lunghissime, alla faccia delle storielle progressiste sui “secoli bui”.
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Raggiungiamo quindi il Budludza: costruzione dalla forma avvenieristica posta sulla cima di un monte e nella quale, negli anni della guerra fredda, l’intellighenzia comunista bulgara e non si radunava per discutere, progettare e pianificare la lotta al capitalismo. Ora non resta che un edificio a rischio crollo, ammantato della solennità che hanno sempre i giganti decaduti.
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L’ideologia si caratterizza anche, nella sua granitica convinzione, per la capacità di guardare solo a lungo termine oltre che per il ruolo centrale che vi rivestono le idee; in questa chiave diventano comprensibili investimenti monumentali di questo genere, anche per chi è parte di una cultura a breve termine, accecata dall’utilitarismo, che costruisce grandi edifici solo per banche o aziende.
Dopo aver campeggiato ai piedi del Budludza, partiamo verso Sofia passando per Plovdiv. Dormiremo 3 notti da Vasco, ragazzo della periferia di Sofia che vive (e fumamore) con Elena, sua mamma ed il piccolo, ma agitassimo, cagnolino Ziva. Vasco ci porta a cena vicino casa, è tutto abbondante e saporito, mangiamo anche i cuori di pollo-sentite scuse ai vegani.
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Durante il primo viaggio in metro una donna si siede proprio davanti alla Ribba e non smette di fissarlo. Lui prima ricambia, poi si gira, e lei è ancora lì, allora ricambia più a lungo, ma lei resiste nel fissarlo. La cosa si fa imbarazzante, lui si stringe nella felpa, lei sorride, lui piega la testa, lei ammicca. Altre due fermate e scattava la prima denuncia per stupro ai danni di un uomo.
Nel pomeriggio Camera decide simpaticamente di acquistare, davanti ad una chiesa russa, un cappello originale di quei gran burloni delle SS e la sera stessa accettiamo l’invito di Vasco di andare con lui al compleanno di un suo amico. Arriviamo in un grande palazzone e saliamo le scale fino all’ultimo piano: si apre un sottotetto disadorno dove alcuni ragazzi ci aspettano con snack e alcolici. Sul tetto, disegnata col pennarello su di un cartone usato come isolante, svetta una bella svastica nera. Cazzo, dovevo portare il cappello!. Scopriamo così di essere nella soffitta di questo ragazzetto gentilissimo ricoperto di tatuaggi nazi che ci coinvolge parlando inglese e offrendoci da bere. Inoltre, tra i simpatici hobbies che coltiva, c’è anche quello dell’essere un ultras della locale squadra di calcio, e ci parla con ammirazione degli ultras laziali che “quando sono stato in curva con loro ci trattavano come principianti”.
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Il nazismo, nel nostro perbenista villaggio globale, è semplicemente un tabù: c’è da chiedersi chi sia peggio informato, se lui, rimasto emarginato e rifugiatosi nella sorpassata e criminalizzata ideologia, o noi, convinti a priori di esserne superiori.
Ah, per “bagno” qui si intende “scegli una porta nel pianerottolo e pisciaci contro”. Passiamo la notte lì, dopo aver usato la vodka anche per lavarci i denti, dopo che la ribba s’è sgranchito la lingua con una Bulgara e dopo aver svegliato tutto il palazzo (Teo e la Ribba, per ritrovarsi al buio da 3 metri di distanza).
A Sofia visitiamo per la prima volta nel viaggio una moschea e qui è necessario coprire le scattanti gambette di Teo con un accappatoio verde gentilmente offerto all’ingresso. Gli altri lo dicevano da giorni che quei braghini erano troppo corti. Dentro la moschea regna soltanto il silenzio, materialmente non c’è nulla di particolare: le uniche cose che contino sono l’orientamento (verso la mecca) ed il senso del tatto (via le scarpe e piedi sul tappeto). Più tardi andiamo a fare un giro sulla vicina montagna proprio dove partono gli impianti sciistici: sono 2000m di quota che dominano la città.
L’ultimo giorno in Bulgaria è dedicato al monastero di Riskij, patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, proprio al centro dell’omonimo parco nazionale. Qui si è conservata l’identità bulgara durante l’occupazione ottomana e da qui è rifiorita per partorire la nazione bulgara.
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Prima di passare il confine con la Macedonia ci fermiamo a mangiare la trota alla piastra, primo ottimo pesce del viaggio.
Macedonia, arriviamo. È una minaccia.
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